Come fare un naming
Che processi mentali seguo per trovare i nomi alle cose, ai prodotti, ai brand, alle persone.
Quando qualcuno mi contatta perché trovi un nome alla sua realtà, al suo prodotto, al suo progetto, mi faccio molte domande su di me e il mio lavoro.
È probabile che fosse già deformazione professionale, predisposizione, chi lo sa, ma da bambino quando immaginavo o inventavo una cosa, la prima cosa a cui pensavo era il nome, perché era un po' un atto fondativo, la differenza fra esistere e no.
Nel tempo poi ho imparato che non per forza la gente ragiona come me. Far partire un progetto è molto più veloce ed efficace che scegliere come si dovrà chiamare per sempre. Perché in un mondo in cui cambiare è non solo positivo ma a volte persino necessario, i nomi sono invece qualcosa che deve rimanere immutabile, e da questa contraddizione nasce forse la task più difficile del copywriting, di sicuro quella più difficile per un copywriter.
In questa uscita vorrei provare a raccontarvi il metodo che seguo per trovare i naming, perché sì, ne ho davvero uno, e l'ho visto funzionare diverse volte. Tuttavia vorrei prima fissare qualche punto. Sono poche piccole notes to self che ho imparato trovando nomi alle cose.
Il distacco emotivo è tutto
Svolgere questo lavoro per progetti non miei rende il compito più facile sia a me che al cliente. Questo non solo perché io ho una competenza tecnica e il cliente verosimilmente no (altrimenti non investirebbe dei soldi nella mia), ma anche perché osservare un progetto da fuori aumenta la lucidità nello scomporlo e nell'immaginarlo con uno stesso nome per tutta la vita.
Ne è la prova il fatto che ho creato decine di progetti nella mia vita, e quasi tutti hanno un nome che non mi soddisfa, quando davvero non mi disgusta del tutto. Sono il copywriter più scarso del mondo a dare i nomi ai propri progetti.
Per non parlare della cosa più difficile che ho fatto in vita mia: scegliere un nome per mio figlio.
Alla fine, contano i gusti di qualcun altro
Puoi presentare il ragionamento di naming più corretto e raffinato che puoi, puoi arrivare con una lista di cento nomi tutti giusti e tutti accattivanti, puoi anche fare il miracolo in terra e trovarne cento che abbiano pure un dominio libero, ma alla fine c'è poco da fare: tutto si ridurrà essenzialmente a un "mi piace"/"non mi piace" del cliente. E potrai chiedere spiegazioni, giustificare le tue scelte, portare delle prove foniche, semantiche, empiriche, ma alla fine già il nome che abbiamo sulla carta d’identità non l’abbiamo scelto noi, figuriamoci se vogliamo toglierci anche l’onore di dare noi il nome al nostro progetto.
A volte le persone hanno già un'idea ma si vergognano di crederci
Mi è capitato spessissimo che un cliente si affezionasse già in partenza a un'idea -magari mia ma il più delle volte sua-, e che mi chiedesse infinite esplorazioni, alternative solo per levarsela dalla testa. Tutte le volte che fra me e me avevo già capito che avesse sempre quell’ipotesi ancora lì a girare,ha poi scelto quella. Ecco, sono casi in cui avrei dovuto essere più bravo a estrarla e aiutarlo a crederci, a fidarsi della sua impressione. Non importa che a me piacesse o no quell'idea, il mio compito è renderla solida. Ognuno può riconoscersi anche in una brutta parola, in un concetto ridicolo e non c'è nulla di male.
Tenute a mente queste cose, è ora di provare a entrare nella testa di chi ha un progetto e non sa come chiamarlo, oppure lo sa ma non vuole ancora confessartelo. Questo è il processo che cerco di seguire io.
Fai domande divertenti
La prima cosa che posso fare è tentare di restringere il campo della ricerca incrociandolo con i gusti della persona che deve scegliere.
Se prendo due competitor a caso, che ne so, Serenis e Unobravo, già dal nome c'è una spaccatura netta di tone of voice, una scelta di che tipo di persona essere. È come se dovessi immaginarti un po’ i connotati del brand: ha una faccia simpatica, enigmatica o di tutto punto? Perciò faccio delle domande difficili ma necessarie, come "che emozioni deve comunicare la tua identità", "deve suonare aspra, decisa, dolce o seria", o ancora "è più solenne o più divertente”, “è più questo o più quell'altro”.
Non c'è un template predefinito da seguire, non ci sono domande sbagliate, fate quelle che vi suggerisce l'istinto, di volta in volta. Sono domande a cui la maggior parte delle volte il cliente non saprà rispondere (d'altronde voi ci riuscireste?), allora arriva la domanda pigliatutto, cioè "Mi fai un esempio di un brand name che ti piace?". Spoiler: il mondo si divide tra chi fa scena muta e chi mi risponde Apple, ma poi non chiamerebbe mai "Banana" la propria azienda di scarpe. Siamo tutti coraggiosi col brand degli altri.
Scrivi le parole, se possibile a mano
Tralasciando la fase della ricerca competitor bla bla bla - ma, voglio dire, non servo certo io per ricordarvi di fare la ricerca competitor,- inizio subito a scrivere. Io lo faccio a mano (con la pencil sull'iPad o con una penna del Lidl sul blocco di carta dell'azienda siderurgica che mi hanno regalato all'Ascom, poco cambia, ma farlo a mano è diverso che con la tastiera. Prima di tutto perché trasformi il foglio in una tela in cui puoi disporre i concetti come meglio credi, senza seguire l'ordine sequenziale imposto dalla videoscrittura da sinistra a destra, riga per riga. Poi perché trasferendo il segno dalla mano al foglio tramite la penna, ti accorgi di come è fatta una parola come un unicum. So che sembra una stronzata new age, ma a me fa tutta la differenza del mondo nel sentirmela in testa. Perciò parto dal livello base: se il mio cliente fa lampadine alogene verdi che si accedono soffiandoci sopra, scrivo LAMPADINE, ALOGENO, VERDE, SOFFIO, FFFF, ELETTRICITÀ, LUCE, e così via. Scrivo, in sostanza, come fossero ciuffi d'erba, parole dello stesso campo semantico, così ho ben presenti i concetti che riguardano il brand su cui sto lavorando.
Questa fase può durare minuti o ore: qui l’unica regola è scrivere tutto: ogni parola che viene in mente, anche le più stupide, anche ripetere una che ci torna in mente una seconda volta. Pensate alle parole come a un’erba infestante che cresce anche dove non volete. Le spuntate le darete dopo.

Segui tecniche diverse di associazione di idee
Qui le cose si fanno succose. Quando comincio ad avere un universo semantico abbastanza popoloso, comincio ad esplorare diverse tecniche di connessione tra il brand e il nome che avrà. Le ho riassunte così.
- Tecnica del nome parlante
Il nome di fatto dichiara che cos'è l'oggetto che rappresenta. Dropbox è un servizio di storage di file, quindi per quanto il suo nome abbia un livello di colloquialità spinto (letteralmente, una scatola in cui mollare delle cose), di fatto è un nome da cui posso capire a cosa mi serve. Quindi la domanda è: cosa fa esattamente il brand per cui sto lavorando, e quanti modi ci sono di dirlo in non più di due parole?
- Tecnica del simbolo
Il nome si trasforma in un simbolo della cosa che rappresenta. Qui è un punto in cui la fantasia deve cominciare a correre veloce. Cominciate alle immagini codificate e cliché (il razzo simbolo dell’innovazione, il megafono simbolo della diffusione dei messaggi…) e poi provate a spostarvi più lateralmente. Ad esempio, dei pneumatici particolarmente performanti si possono chiamare GLUE. Dipende tutto da che relazione stabiliamo tra l’oggetto e il simbolo, e spesso in questo passaggio stiamo decidendo un tone of voice, un modo di porci e di vedere il mondo. Che nesso simbolico scegliamo? Causa effetto? Somiglianza fisica? Concreto per astratto? Parte per il tutto? In questo, la figura retorica della sineddoche può venire in aiuto.
- Tecnica del personaggio
Il nome trasforma il brand o il prodotto in un personaggio, e prende un nome di persona. Una grattugia per il parmigiano, con tutti i suoi buchi, può chiamarsi Holly a partire dal termine Hole. Un tool AI che fa sembrare le cose magiche può chiamarsi Hermione. Oppure mettiamo che io fondi un'azienda di auto elettriche e decida di chiamarla Tesla e magari poi di non diventare un fascista. In generale ci sono persone che sono nate con un nome, e poi quel nome lo sono diventate. Trovare un nome al brand spesso è l'operazione contraria.
- Tecnica dell’onomatopea
C'è un canale televisivo di cartoni che si chiama Boing, che di tutte le onomatopee è forse la più bambinosa, infantile, dolce. Ragionare sul suono che fa un brand o un prodotto e tradurlo in una parola è un'operazione il più delle volte semplice, e proprio per questo molto di successo.
- Tecnica dell’universo afferente
Questa strada è la più complessa, lunga, ma anche appagante, nonché quella più seguita dai brand di successo.
Per un brand di abbigliamento per condizioni estreme può esserci un nome migliore di riprendere il lato della montagna più esposto alle intemperie e più ostico da scalare, cioè la parete nord (in inglese The North Face)?
Questa tecnica parte da un assunto: ogni brand si posiziona in un universo di riferimento, in cui prospera e che aiuta a prosperare. Questo universo parlerà sempre delle persone e delle loro emozioni, perché in sostanza è fatto di quelle. Perciò se individuiamo quell'universo possiamo cercarvi all’interno un concetto interessante, che suoni bene. Per esempio, ho lavorato con un ecommerce di componentistica per camperizzare i propri furgoni, una realtà che parla a persone che hanno uno stile di vita ben preciso: sono persone che sognano prima o poi di mollare tutto e scomparire in qualche stradina nascosta fronte mare, girare un intero paese viaggiando con tutto ciò che hanno. Tornare: probabilmente mai. Per questo ho proposto al cliente di chiamarlo Solandata.
- Tecnica del luogo
Se il brand fosse un punto sulla carta geografica, quale sarebbe? Se volete comunicare esoticità, anche voi pensate subito a Honolulu o a Timbuctu? Per quanto possa sembrare una strada troppo specifica e circoscritta, non è detto che vi porti a trovare un nome di un luogo. Molto spesso da un luogo potete ricavare altri concetti, che a quel luogo sono legati. Viaggiare è il modo migliore per farsi venire nuove idee.
- Tecnica alla cieca
A volte tutto quello che vi serve è cercare parole che contengono una determinata sillaba, che iniziano con una determinata lettera, che finiscono con un determinato suono, fanno rima con una determinata parola. Si fa in due modi: quello old style, cioè cercarle su google (ci sono siti che elencano tutte queste parole su query di ricerca con le lettere che servono a voi, e li mettono anche in ordine di numero di lettere presenti), oppure chiederle a ChatGPT. Usate questa tecnica solo se avete già usato alcune delle altre, se avete un brief molto preciso, o se avete già una strada da seguire, oppure rischiate di perdervi.

Lavora di fino: traslittera, storpia, sintetizza, checka.
Una volta esplorate queste strade, è possibile che arriviamo a risultati o già presi (il 60% delle volte), o troppo banali (il 30% delle volte), o non troppo semplici da scrivere o pronunciare (il 9% delle volte). Per entrare nel restante 1% delle soluzioni presentabili, possiamo fare un po' di passaggi.
Per esempio, traslitterare o storpiare le parole. Allora il precedente GLUE può diventare GLOO. L'azienda di caricatori powerbank ANKER molto probabilmente si chiama così per traslitterare la pronuncia di Anchor, dove l'àncora è quella a cui aggrapparsi quando la batteria ci lascia a terra come fossimo senza segnale in mezzo all'oceano. Ma ci sono anche Tumblr (da tumbler, un bicchiere alto, credo perché il layout dei blog Tumblr era rigorosamente a una sola colonna, stretta e lunga), Flickr (sfarfallio, un effetto ottico che spesso in fotografia è da scongiurare) come esempi illustri. Se un risultato ci piace ma ci sembra già sentito, o è già preso, cambiare una lettera o un suono può cambiare tutto.
Un'altra cosa che possiamo fare è una crasi, cioè fondere tra loro due parole: Pinterest, Microsoft, Instagram.
L'importante poi è fare, come ultimo passaggio, un check di fattibilità, rispondendo sì a queste domande:
1) Siamo sicuri che qualcuno non abbia già usato lo stesso nome per descrivere la stessa cosa?
2) Quando lo digito, il nome si legge sempre chiaramente senza mai confondersi?
3) Il nome si pronuncia bene in tutte le lingue?
4) È facile fare lo spelling del nome?
5) Il nome è una parola accettabile e non disturbante in tutte le lingue?
6) C'è un modo accettabile di registrare un dominio tutto nostro con quel nome senza pagarlo migliaia di euro per strapparlo a qualcun altro? (chiedete a Madonna).
Quando questa checklist è passata con successo, congratulazioni, hai tutto pronto per cominciare a pensare a come organizzare le tue proposte e a come presentarle.
Ma di questo, però, parliamo la prossima settimana.
Guida pratica e "vissuta", molto apprezzata, grazie :)
Avrei dovuto leggere questo pezzo qualche settimana fa. Magari non sarei arrivata lo stesso al risultato sperato ma sarebbe stato più facile il processo. Grazie per condividere tutto ciò e per riuscire a normalizzare anche le cose che non sembrano normali. ✨