Portarlo più sulla terra.
È un qualcosa che mi sono sentito chiedere spesso, e che poi mi sono anche trovato a chiedere spesso a qualcun altro. Quando bisogna portare qualcosa sulla terra, o meglio farlo atterrare, mi si accende dentro una reazione curiosa e mai infastidita, per quanto assomigli in maniera pericolosa più a una complicazione che a un chiarimento.
Fra tutti i neologismi e i modi di dire del mondo di agenzia, "portare a terra" un concetto mi sembra un'allegoria che funziona, in grado di dipingere tinte ben definite di quello che devo fare. Non è sempre stato così, ma l'allegoria si chiama così perché è una metafora che a forza di ripetersi si codifica, e un codice a forza di interpretarlo lo si impara.
Portare qualcosa a terra è, né più né meno, acchiappare con un retino una nuvola di polline che svolazza senza uno scopo. Acchiapparla e appoggiarla da qualche parte, non per costringerla, ma per osservarla un po' da vicino.
Una volta stavamo scrivendo un testo che doveva essere letto in un video destinato a celebrare l'agricoltura, il rapporto primordiale dell'uomo con la terra e quello che ne nasce, il rispetto del tempo, dei cicli della giornata e delle stagioni. Una sorta di accantonamento del sistema di produzione ipercinetico di oggi.
La prima stesura insisteva sulla meraviglia della natura, che si lascia attendere prima di manifestarsi, e l'inquadratura prendeva il punto di vista del comune essere umano. Quello che mancava era qualcosa che rendesse chiaro che questo rapporto tra l'uomo e la natura non era appunto comune, ma era agricolo.
Le stagioni erano definite attraverso una pioggia battente sui campi, da un punto di vista che privilegiava il sonoro, con la parola "ticchettio".
È un'immagine stupenda di come noi chiamiamo "tempo" tanto i fenomeni atmosferici quanto lo scorrere delle nostre vite, e qui la pioggia era lo scorrere del tempo stesso. Ed è un'immagine di quelle che puoi sentire:
"Il ticchettio sui campi della pioggia autunnale".
Precisa nel suo ricordo fonetico che tutti noi abbiamo nel nostro bagaglio, se ci è mai capitato di sentire delle gocce battere su una foglia. Ma mancava l'agricoltura. Dov'è il lavoro qui? I contorni sono sfumati, è un'atmosfera quasi onirica.
Portare sulla terra quella frase, in quel caso, ci è riuscito imboccando la strada più breve.
Uno può pensare che un feedback come "portalo più sulla terra" possa significare uno stravolgimento della frase, del testo stesso, ma invece vuol dire quello che vuol dire. E forse sbagliamo persino a interpretare la metafora. Come si raccoglie il polline con un retino? Non è forse vero che muovendo l'aria facciamo scappare il polline dalla direttrice del nostro retino? E quando poi lo appoggiamo sulla terra riusciamo davvero a farlo o siamo costretti a vederlo scappare di nuovo al primo alito di vento?
In un certo senso, per me il "portalo a terra" è divenuto più chiaro quando ho cambiato prospettiva: non mi si chiedeva di afferrare qualcosa che stava in cielo, ma forse di ancorare una nave a una banchina.
"Ancorare" è il termine giusto. Mi si chiede di mettere radici a quel concetto, legarlo a qualcosa che non può scappare dallo stesso piano in cui mi trovo io che osservo.
E quindi portare sulla terra un concetto come "Il ticchettio sui campi della pioggia autunnale", cioè legarlo all'agricoltura e al lavoro umano, passava per un intervento semplice, lungo quanto una singola parola, per la precisione un aggettivo:
"Il ticchettio sui nostri campi della pioggia autunnale.
Quel possessivo rivela, se vogliamo, molto della nostra società e della nostra economia, ma dà delle indicazioni più nette su chi sia a parlare in quel testo, ed è un "noi" che possediamo quei campi, li lavoriamo, ce ne prendiamo cura.
Così, all'improvviso non è più un rapporto etereo tra l'uomo e la natura che stiamo indagando, ma tra l'agricoltore e il suo campo. L'idea così è portata talmente a terra che quando la raccogli forse la devi anche un po' scuotere per liberarla dei residui di polvere.
Se quando ci viene richiesta una rilavorazione ci sentiamo in colpa a presentarci con una frase che cambia soltanto per una parola, siamo noi per primi a dare poco peso alle parole che scriviamo. Eppure, avete mai provato a tenere in mano un'àncora?