L'altro ieri ho passato circa quattro ore, pausa più pausa meno, a ripetermi che dovevo stendere degli script perché o in quel momento o mai più, e allo stesso tempo, con un meccanismo che rende il pensiero molto più simile alla grafica che alla scrittura, cioè una sovrapposizione di livelli talvolta in trasparenza, talvolta opachi, mi ripetevo anche che non ne avevo alcuna voglia, alcuna forza né alcuna capacità.
L'ultima non era vera, perché se è vero che non ho mai vinto premi alla sceneggiatura, è anche vero che lavori di questo tipo ne ho iniziati e a un certo punto anche finiti, quindi i precedenti mi smentiscono. Sulla forza era facile accorgersi che non era affatto così, perché di fatto mi stavo trastullando da ore su un pensiero senza che ce ne fossero altri a tormentarmi. Quindi era più una questione di voglia.
Il fatto è che molto spesso aggredire un lavoro come la stesura di uno script a partire dal risultato finisce per sabotarmi. Quando approccio il foglio bianco ci proietto con gli occhi la tabella riempita che ne deve uscire, e il vuoto finisce per essere angosciante. Vale per gli script, ma vale per qualsiasi altra cosa che riguardi lo scrivere, e forse anche oltre, per esempio disegnare, comporre una canzone, sistemare una stanza, andare a convivere, fare dei figli, aprire partita iva.
C'è una lingua di terra sommersa, quasi invisibile tra l'avere un'idea e porre il primo mattone per realizzarla, ed è una terra fangosa che ti trascina giù se non fai attenzione a dove metti i piedi. Mi sono convinto ad esempio che non avrei mai potuto iniziare a scrivere il romanzo che voglio scrivere da almeno 10 anni senza aver comprato dall'App Store quella dannata applicazione. Poi l'ho comprata, e il romanzo è ancora lì, nell'isola delle idee fumose dove si trova da un decennio. Era evidente che il problema fosse un altro: la tastiera. Una tastiera meccanica, certo. È pieno di youtuber tech che fanno video ASMR in cui recensiscono i suoni delle tastiere meccaniche, convincendoti che, cazzo, vuoi davvero pensare che scrivere a macchina senza una tastiera meccanica sia una cosa di questo mondo? Dai su, le tastierine di sta minchia che mettono sui portatili servono solo a digitare le parole "sex" e "education" sulla barra di ricerca di Netflix, ma non ti porteranno lontano se ambisci al premio Strega. Non ho ancora comprato una tastiera meccanica, e quindi va da sé che il mio romanzo non è ancora iniziato. E non solo: mi manca ancora un deskpad di cuoio nero, minimal che più minimal non si può, da piazzare sulla scrivania del mio studio, nonostante io lavori soprattutto in un ufficio senza alcun controllo sull'estetica che mi sta attorno. Ho una bacheca su Pinterest che si chiama "Home Like No Place", che suona così Pinterest ma in realtà è la citazione di una band che mi piace, in cui ho raccolto foto di scrivanie, workstation, o setup, a seconda di come va di moda chiamarli in questo mese. Ho guardato anche decine e decine di video spuntati come funghi durante la pandemia di "desk tour", ovvero persone che fanno vedere la loro scrivania in cui lavorano da casa. Tutte ordinate, estetiche, più costose di quanto il mio lavoro da casa mi farebbe mai guadagnare, ma belle da morire che ti fanno venire una voglia di lavorare al tuo capolavoro che non sapevi di avere.
Il fatto è che non ce l'hai. Perché io mi sono costruito una scrivania con aggiustamenti e precisione maniacali, non ho comprato tutto quello che mi sarei voluto comprare, ma quella lingua di terra è ancora lì, non è emersa, e non so guadare dall'idea alla realizzazione.
Allora forse la scrittura non ha troppo a che fare con l'aspettare la bassa marea, e a me hanno sempre ripetuto che "prima o poi il campanello suona", però chi scrive per lavoro questo campanello non lo può aspettare, e deve iniziare perché presto o tardi deve consegnare. Tutte le volte che mi sono detto "Fermo, per questa cosa qui ci vuole cura, ci vuole studio, ci vuole preparazione, magari anche gli strumenti giusti" stavo trovando scuse per procrastinare. Tutte le volte che ho diviso la scrittura tra fase di preparazione e fase di stesura mi stavo raccontando cazzate, avevo paura di scrivere la prima parola.
Gli script li ho risolti così, con la prima parola. Uno script di un video è fatto di testo, di meta-testo, immagini, musica, ritmo. Se inizi a pensare a questa cattedrale ne rimani schiacciato, ed è quello che ho lasciato mi succedesse per 4 ore. Un video, invece, anche se alla fine non avrà del testo, deve sempre dire qualcosa. Allora tanto vale iniziare da quella cosa. Ho iniziato dalla prima parola, da quello che quel video doveva dire, non mostrare, non far sentire, non significare; dire.
La fortuna voleva che quei video di cui dovevo fare gli script contenessero anche del testo, quindi sono partito dal testo.
All'improvviso il foglio non era più bianco, e da ogni braccio è partito un ramo.
Prima di attirarmi ire, è sbagliata questa cosa; nel senso, è sbagliato pensare che la scrittura vada aggredita e mai programmata, studiata. I romanzieri studiano, programmano, fanno scalette. Ma tutti questi passaggi sono sempre un atto fisico, quello di scrivere, ed è assurdo pensare che si possa iniziare la stesura delle parole sapendo esattamente dove andare. Ad esempio, qualche ora fa dovevo iniziare un pezzo per una newsletter, in cui volevo raccontare cosa succede quando si affronta il cosiddetto blocco dello scrittore, o sindrome del foglio bianco, o anche "poca voglia di lavorare" per alcuni. Non avevo la minima idea di cosa scrivere su un problema che peraltro sono ben lontano dall'aver risolto. Lo schermo del computer mi è andato in standby diverse volte prima che riuscissi a digitare la prima parola. L'ho pescata da quello che avevo fatto durante il giorno: perdere 4 ore a pensare a degli script che non mi venivano. Non sapevo dove sarei andato. Non sapevo che avrei utilizzato la metafora di una striscia di terra sommersa. Non sapevo che sarebbe diventato un meta-pezzo. So soltanto, e magari ve lo racconto un'altra volta, che ho la pessima abitudine di scrivere sempre la stessa parola come incipit delle cose che scrivo, e ho iniziato ultimamente a cancellarla, e a riscriverla, e ho pensato “sai che divertente se riuscissi invece a scriverla per ultima?”. Questa parola è un avverbio, ed è Non.